Massimiliano Delfino http://www.liveus.it/utente.php?id=32 Massimiliano Delfino it Mon, 31 Oct 11 18:47:15 +0100 Mon, 31 Oct 11 18:47:15 +0100 http://www.liveus.it/utente.php?id=32 Copyright: (C) LiveUs.it, http://www.liveus.it/ <![CDATA[ The Blues Joint Benefit ]]> Giovedì 17 novembre il JUX TAP tornerà ad essere il più grande blues club d'Italia per una notte di solidarietà' con le popolazioni colpite dall'alluvione! Cast e modalità di partecipazione sono in definizione in queste ore, vi terremo aggiornati. The Blues Joint Benefit è il titolo del concerto il cui incasso andrà interamente alle popolazioni colpite. L'organizzazione sta prendendo le mosse in queste ore grazie alle idee di Simone Grassi Paolo Bonfanti Paolo Lusenti e Andrea Giannoni e a tutti i musicisti che si sono resi disponibili per questa grande serata.
La manifestazione sarà così articolata: ore 20,00 - 22,00 cena di beneficenza con set acustici e dalle ore 22,00 il grande blues elettrico con un palcoscenico pieno di protagonisti del blues italiano. Si terminerà con una grande jam session.
Intanto comunichiamo le prime adesioni: tra le associazioni e gli enti il Comune di Sarzana, ARCI (per la parte solidarietà), Tomaino Factory (il gruppo di artisti legati al grande Giuliano Tomaino), Pistoia Blues (il più grande festival blues d’Europa parteciperà offrendo il proprio personale tecnico tra cui il proprio stage manager Antonio Nencetti e il capo della security Silvano Martini). Tra i musicisti oltre a Paolo Bonfanti e Andrea Giannoni hanno dato un’adesione all’iniziativa Napo, Le canzoni da marciapiede, Mary Crisci, Bugelli (il cantastorie della Lunigiana), Reinhold Kohl, Los Caimanos, Davide L’Abbate, Enrico Gastardelli, Raffaele Cozzati, Pulin & the Little Mice, Armando Fiorenza, Andrea Paganetto, Luca Silvestri, Gian Paolo Biciacci, Desina Jones, Daniele Gigli, Caterina Lazagna, Claudia Sanguineti, Luca Bertone, Stefano Barotti, Dick & Tinta Blues Band, Dario Lombardo, Massimo Sanguinetti, Roberto Iacono, Matteo Profetto, Cristina Aroni e molti altri. Per la parte tecnica si è reso disponibile Gianluca Cavallini storico sound man del locale e l’associazione Onde Sonore da Arenzano. Stefano Lanzardo curerà la parte fotografica dell’evento.
Stiamo allestendo una house band di musicisti locali e stiamo attendendo l’adesione di altri musicisti di caratura nazionale. Vi preghiamo di restare sintonizzati sull’evento Facebook The Blues Joint Benefit sulla quale segnaleremo tutte le novità sulla serata.
The Blues Joint Benefit è organizzato da Jux Tap, Bluesin e Pimpa Staff.
L’ingresso per il concerto costerà 10,00 Euro e sarà ovviamente interamente devoluto alle popolazioni alluvionate. E’ in definizione anche una cena di supporto sempre con la stessa finalità.

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http://www.liveus.it/articolo.php?id=72 Mon, 31 Oct 11 18:47:15 +0100 http://www.liveus.it/articolo.php?id=72
<![CDATA[ Italian Blues Institute, Luigi Monge ]]>

Ormai ci sono abituato! Mai una volta che trovi informazioni sulle iniziative musicali che mi interessano! Eppure non si tratta di carenza di mezzi ma piuttosto di dispersioni degli stessi. Così vengo a sapere dal provvidenziale passaparola che martedì 22 marzo alle ore 21.30 ci sarebbe stato un concerto per l’inaugurazione dell’IBI (Italian Blues Institute) alla Sala Munizioniere di Palazzo Ducale.
Dietro a questa iniziativa c’è la collaborazione di due realtà genovesi di cui si parla poco: Il Museo del Jazz e Luigi Monge. Sul primo vi rimando al sito ufficiale: www.italianjazzinstitute.com, sul secondo,invece, vorrei concentrarmi maggiormente in queste righe. Luigi Monge è una piccola “perla” di Genova (che a questi esempi di eccellenza ci ha fin troppo abituato, facendocene però perdere il senso dell’effettivo valore). Insegnante, traduttore e saggista, è uno degli esponenti di maggior spicco della “cultura” Blues in Italia e vanta un innumerevole numero di collaborazioni con il mondo della cultura statunitense. Questo suo amore per la cultura afroamericana lo ha portato addirittura negli Stati Uniti a raccontare, proprio a loro, il senso di quella cultura in una serie di fortunate conferenze. La sua attività di giornalista musicale è ben testimoniata dalla rivista Il Blues ma possiamo trovare nei suoi due libri di recente uscita (Robert Johnson, I got the Blues e Howlin’ Wolf. I’m The Wolf, Arcana Editore) il segno più tangibile della sua competenza e della sua passione per questa musica.
Lo incontro a seguito al concerto di cui sopra, da lui organizzato per l’IBI, dove si sono esibiti i pilastri del Blues genovese e ligure: Paolo Bonfanti, Piero De Luca and Big Fat Mama e Guitar Ray & The Blues Gamblers. Sarà lo stesso Luigi a raccontarci come è andata.

Ciao Luigi. Italian Blues Institute. Parlami di questa iniziativa.
E’ un’iniziativa che è frutto di opposti che si attraggono: uno, realistico e positivo, è quello della mia ormai quinquennale collaborazione con il Museo del Jazz, che si è sempre dimostrato molto ricettivo nei confronti miei e delle mie proposte in ambito Blues; l’altro, altrettanto oggettivo ma negativo, è quello della situazione di stallo in cui il blues si è venuto a trovare in città, con la cronica mancanza di spazi in cui suonare e situazioni deprimenti di rivalità tra gruppi. L’Italian Blues Institute non è un’associazione vera e propria: è al momento solo un’affiliazione del Museo del Jazz, in quanto per adesso è priva di autonomia economica e legale, ma non si può escludere che se acquisirà forza e adesioni sul campo in seguito alle sue iniziative, nel futuro possa diventare un’entità indipendente, anche se sempre aperta a collaborazioni con il Museo del Jazz e con qualsiasi altra realtà interessata al blues e alle varie forme di musica e cultura afroamericane. Tutto ciò spiega la scelta del nome, che è chiara emanazione delI’Italian Jazz Institute e, anche se suona altisonante, non intende rappresentare tutto il blues italiano, ma guardare in modo concreto al presente prendendo atto delle difficoltà in cui si opera, senza peraltro rinunciare a priori a costruire un futuro più roseo.

Parliamo del concerto per l’inaugurazione dell’IBI (Italian Blues Institute).
E’ stato fantastico non solo per l’indubbia bravura dei musicisti in cartellone, ma perché si è sentito esclusivamente del blues, pur prendendo atto dell’esistenza delle sue molte sfaccettature. Senza questa presa di coscienza non si può capire la storia e l’evoluzione di questo genere musicale, e si rischia di fossilizzarsi su qualche sua branchia particolare (Chicago Blues, blues rurale, blues texano) e avere una visione distorta del fenomeno. Ma la cosa più esaltante, ieri, è stata la risposta entusiastica dei presenti, esperti e non, che hanno capito il vero spirito del Blues: quello di festeggiare e aggregare, non di dividere. La scelta dei musicisti era quasi obbligata: Paolo Bonfanti rappresenta la punta di diamante del blues genovese, la Big Fat Mama di Piero De Luca è uno dei gruppi blues più longevi del panorama italiano con oltre 30 anni di attività, e Guitar Ray & the Gamblers incarnano il blues rivierasco di livello professionale. Ciò che accomuna queste tre realtà è che hanno rappresentato ed esportato il blues ligure in tutto il mondo, suonando con artisti blues di fama internazionale.

Genova ha queste forti personalità musicali che hanno dato al Blues nostrano più di una soddisfazione, eppure il Blues genovese sembra un po’ sopito, in attesa che qualcuno lo risvegli. Questa iniziativa può essere un segnale di rinascita o rischia di essere l’ennesima attestazione di stima per quello che è stato?
E’ inutile nascondersi che il rischio c’è: questa iniziativa non vuole avere il sapore del deja vu, ma vuol far tesoro delle esperienze del passato per ampliare gli orizzonti e aprire a tutte le varie proposte che rientrino nell’ambito del blues nel senso più ampio del termine senza pregiudizi di sorta.

Che ruolo può avere tutto questo per la diffusione del blues tra i giovani?
E’ l’unico vero scopo di un’iniziativa del genere. Avvicinare un giovane al blues vuol dire farlo entrare in un mondo magico e reale al tempo stesso, fargli prendere coscienza della storia, della geografia, della lingua, in una parola della cultura che sottende il blues, che rimane in origine espressione di un popolo, ma che si evolve e amplia i propri orizzonti per avvicinarsi a, e causare fenomeni di osmosi con, altre musiche e culture. Uno degli scopi principali dell’Italian Blues Institute è quello di far salire sul palco dei giovani musicisti blues locali e nazionali.

Tu sei certamente uno degli esponenti più significativi della cultura blues in Italia (per non parlare comunque del tuo rapporto con la cultura americana nel suo insieme). Come valuti la situazione del Blues italiano e come si pone questa iniziativa dell’IBI nei confronti di un contesto nazionale?
Il blues italiano è in un limbo. Sarebbe bello poterti dire che sta benissimo, ma la realtà dei fatti è che sta solo lentamente "guarendo", e solo in alcuni campi. Il salto qualitativo dal punto di vista musicale è sotto i padiglioni auricolari di tutti quelli che hanno orecchie per sentire, anche se rimane vero il detto che non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire. Anche l’aspetto organizzativo mi sembra tenere il passo con i tempi. Festival come Rootsway, Castelsanpietro, ecc. stanno crescendo, nascono agenzie blues che solo qualche anno fa era inconcepibile che esistessero, la rivista italiana Il Blues fa uscire un DVD con i migliori gruppi italiani emergenti che si sono affrontati in finale per rappresentare l’Italia alla prima edizione dello European Blues Challenge, per la quale ho avuto l’onore di fare da giudice. Ma se veniamo agli aspetti negativi, purtroppo la lista è almeno altrettanto lunga. Innanzitutto mi sembra ci sia un grande egoismo e immobilismo di fondo in molti addetti ai lavori, che è dovuto anche alla disastrosa situazione economica generale e al deficitario investimento sulla cultura che ne consegue. Di qualsiasi cosa ci si occupi, ognuno coltiva il proprio orticello e non c’è il coraggio di rischiare più di tanto. La capacità e disponibilità alla collaborazione, a riconoscere gli errori, ad accettare la critica costruttiva, a ringraziare per un aiuto disinteressato sono scarsissime. La situazione delle case editrici e discografiche è tragica per quanto riguarda la nostra musica. Quasi tutti i CD di Blues italiano sono autoprodotti, scarseggiano le traduzioni di libri fondamentali per la comprensione del Blues, musicisti e persino addetti ai lavori leggono pochissimo, le conferenze sono rare, e se a ciò si unisce la purtroppo bassa conoscenza media della lingua inglese, e paradossalmente anche italiana, persino da parte di alcuni giornalisti e addetti ai lavori, non ci si può stupire delle molte imprecisioni che si leggono un po’ dovunque. Anche solo una recensione incomprensibile e piena di errori grammaticali innanzitutto diminuisce il valore stesso della pubblicazione in cui è inserita e può procurare una serie di effetti negativi paurosa: il CD non viene comprato, i collaboratori competenti non sono stimolati a scrivere, ecc. Tutto ciò comporta che le nuove generazioni non conoscano a sufficienza la storia del Blues e che i concerti non attraggano pubblico. Di conseguenza i locali non programmano blues, mentre quelli specializzati non se la passano bene e sono spesso costretti a pagare poco i musicisti e a chiudere o cambiare programmazione. Alcuni gestori non sono molto competenti in materia, e invece di affidarsi a chi lo è, una volta trovato il gruppo più o meno storico che attira gente, si aggrappa a quello e lo fa suonare in continuazione senza aprire ai gruppi nuovi e giovani. Alcuni locali gestiti da persone competenti, invece, soffrono di quella sindrome di competitività, mancanza di spirito collaborativo e senso dell’associazionismo di cui parlavo prima, e ciò porta a creare fazioni contrapposte. Vi è anche una scarsa serietà di certi gruppi e locali nel prenotare le date. Io insisterei molto sull’aspetto culturale del Blues. Lo dico fin troppo spesso: il Blues non è solo musica. L’Italian Blues Institute non può da solo ovviare a questi problemi, ma può offrire il proprio contributo per affrontarli e superarli. Non sarà facile riuscirci, ma ci proviamo.

La grande forza del Museo del Jazz è la grande quantità di informazioni e testimonianze che ha recuperato, anche nel campo del Blues. Come credi che questo patrimonio possa essere sfruttato in funzione del neonato Italian Blues Institute?
Partecipando alle sue varie iniziative e andando ad ascoltare i tesori nascosti negli archivi del Museo per scoprire l’eterogeneità e allo stesso tempo la matrice comune di questa musica.

Raccontaci le vostre prossime iniziative ed in particolare il coinvolgimento dei musicisti che riuscirete a portare dal vivo.
Dopo la riuscita festa di martedì scorso, il programma prevede una serata di piano blues con Ettore Ferro il 4 aprile, sempre presso la sala del Munizioniere di Palazzo Ducale (ore 21.00), e il 12 aprile un’altra delle mie ormai consuete presentazioni video al Museo del Jazz (ore 18.00) con protagonista Lightnin’ Hopkins, uno degli artisti più rappresentativi ed originali non soltanto del Blues texano, ma di tutto il genere. Sono poi in atto trattative per portare il 19 maggio al Louisiana Jazz Club il grande chitarrista americano David Evans, che ha imparato da maestri quali Bukka White e Son House. Se ci sarà l’opportunità, in estate si proverà a invitare qualche artista straniero nonostante la cronica mancanza di fondi, mentre la pausa estiva ci servirà per lavorare in vista dell’autunno prossimo su qualche altro nome di rilievo internazionale e su qualche gruppo ligure e nazionale di qualità, conosciuto o meno che sia, di cui l’Italia pullula, ma che non ha opportunità di esprimersi se non a livello locale.

Luigi Monge può essere contattato a questo indirizzo: olmi.monge@tin.it

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http://www.liveus.it/articolo.php?id=53 Thu, 31 Mar 11 09:38:05 +0200 http://www.liveus.it/articolo.php?id=53
<![CDATA[ Gary Moore. L'ultimo traghettatore per... ]]>

...Il Blues.
Ricevere queste notizie non fa mai piacere soprattutto se il musicista che ci lascia è quello che ha caratterizzato molti aspetti del tuo percorso musicale. Gary Moore muore il 6 febbraio di quest’anno.
Non stiamo parlando di uno di quei chitarristi che ha cambiato la storia della musica e farne, postumo, un mito è certamente eccessivo e fuorviante. Certamente è stato un musicista sincero e coerente e chi l’ha visto dal vivo ha potuto appezzare soprattutto questo aspetto. Un grande chitarrista "in primis". ma non solo. Uno dei pochi che da sempre ha fatto della propria voce il bilanciato controcanto degli urli della propria chitarra. La sua carriera, partita nel lontano ’68 sotto elgida del suo padre spirituale Peter Green (a cui dedicherà un intero lavoro al culmine del suo periodo Blues) dei Fleetwood Mac, ha visto tante stagioni: dal duro rock degli esorodi col frateno compagno Phill Lynot, fino al tributo al blues che lui tanto amava da considerarsene un non degno estensore. Se si passano in rassegna i suoi dischi si sente quanto amore lui avesse per il rock ma come lui concepisse un sistema musicale dove le influenze dei generi si fondevano con naturalezza. Così dagli esperimenti dei Colosseum II di John Eiseman in odore di jazz si arriva alle cavalcate Heavy pop  di ispirazione celtica del periodo Wild Frontier. Il successo arriva concretamente nel 1982 con Corridors of Power un album potente all’insegna dell’allora imperante Heavy Metal che riuscì ad imporsi sul mercato proprio per l’originalità del tocco chitarristico e della distintiva voce. Quel suono, poi immortalato nel live "We Want Moore, Live" sarà il suo marchio di fabbrica che lo designerà un fuori classe del genere, unico erede della lezione del maestro Jeff Beck in mezzo a tanti cloni di Page a Blackmore che affollavano le classifiche del periodo.
Poi la svolta che caratterizzarà gran parte del resto della sua carriera: il Blues. Come tutti i suoi predecessori inglesi Gary Moore va a scuola dai maestri del genere e, forte del suo contratto discografico con la Virgin, si presenta con un album caratterizzato dalle importanti presenze di Albert King, Albert Collins: Still Got the Blues. Un Rock Blues muscolare ma pure ispirato che farà scuola a tanti rocker che, da poco orfani per la scomparsa di Rory Gallagher e Stevie Ray Vaughan, negli anni ’90 troveranno in lui l’occasione di confrontarsi con un genere più volte dato per spacciato ma ancora vivo negli suoi album di questo musicista appassionato e studioso del genere. Le suggestioni Blues si alterneranno tra live e dischi in studio di alterno spessore. Il progetto BBM con i mostri sacri Ginger Baker e Jack Bruce ne sanciranno l’ingresso nell’olimpo del British Blues storico (benchè il ruolo di "rimpiazzo" dell’orginario Eric Clapton dei Cream non si addica per nulla al chitarrista di Belfast). L’ultima decade è un nuovo ritorno al suo blues, screziato da temi rock e ballate ispirate che però non aggiungono molto alla sua carriera già, in sè, perfetta. Oggi, saputo della dipartita, non si può che ringraziarlo per la sua musica e per quello che lascia di concreto per le future generazioni di chitarristi: un esempio, ancor più che un mito

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http://www.liveus.it/articolo.php?id=41 Tue, 08 Feb 11 09:38:19 +0100 http://www.liveus.it/articolo.php?id=41
<![CDATA[ Beigua Blues Festival 2010 ]]>

 

Beigua Blues Festival, un’estata all’insegna del Blues, del Soul e del Rhythm and Blues. Nove appuntamenti imperdibili che accenderanno le serate della Riviera del Beigua e del suo entro terra ma non solo. L’Associazione Onde Sonore dopo lo sforzo dei tre anni precedenti in Arenzano Blues e in collaborazione con la Macondo Spettacoli, è lieta di annunciare che quest’anno la manifestazione prenderà il nome Beigua Blues Festival e interesserà i seguenti comuni: Arenzano, Cogoleto, Varazze, Pontinvrea e Andora. Artisti internazionali, artisti italiani e promesse locali si alterneranno dal 4 luglio al 9 agosto secondo il seguente calendario.

4 luglio- Arenzano, largo Calasetta. Blues For Youth, Premio “Beigua Blues per i giovani”. Dopo l’esperienza dell’anno scorso e grazie al supporto dell’Assessorato alle Politiche Giovanili del Comune di Arenzano si rinnova l’occasione di segnalare e premiare i giovani talenti del Blues Ligure. Quest’anno il premio va a Fabio “Kid” Bommarito. Certamente non si può definire una giovane promessa vista la sua pluriennale militanza nel Blues nazionale ma “Kid” è il prototipo del Bluesman di casa nostra.. Lui e la sua armonica a bocca hanno viaggiato per tutta la penisola alla ricerca del Blues e oggi con la sua Kid Blues Combo propone , con alcuni dei più promettenti musicisti liguri, il meglio del proprio repertorio. Ad aprire la serata saranno altrettanti giovani alfieri del Blues: the True Story of the End e Piney Woods Players, due progetti all’insegna del “hobo” blues delle origini ma pure alla ricerca di nuove vie espressive.

10/11 luglio - Pontinvrea. Il Festival si sposta nell’entroterra con una due giorni imperdibile. Ad aprire le danze ci penserà sabato 10  Andy J. Forest, direttamente da New Orleans. L’artista americano si esibirà presso il  Beer Room di Pontinvrea, Via Giovo 25, portando con se il suo ricco patrimonio musicale che va dalle sonorità del Blues di Chicago ai “tesori” timbrici del Delta Blues. Un musicista che si rinnova continuamente e che ha fatto del suo rapporto con l’Italia  una costante della propria esperienza ad aprire la serata i varazzini Trois Tetons. Domenica 11 sarà invece una “gloria” di casa nostra e tenere vivo il palco di Piazza Indipendenza a Pontinvrea.a partire dalle ore 20.30: Paolo Bonfanti. Nella sua versione solista, l’ambasciatore del Blues Genovese, proporrà il meglio del proprio repertorio con uno spettacolo ,che come sempre, riuscirà a convincere anche i palati più esigenti. Nel Pomeriggio gruppi locali allieteranno il pubblico a partire dalle ore 16 e non solo: la Daboot Crew, Team internazionale di Motocross Freestyle si esibirà per le strade di Pontinvrea con il proprio repertorio di spericolatezze.

17 luglio – Andora  La grande tradizione del Soul con Mr. Ronnie Jones e la sua band. Il cantante statunitense è un veterano del boom del Soul e del Revival Blues nella “swingin’ London” degli anni ’60. Grande voce, toni caldi e grande maestria sul palco incanteranno il pubblico all’insegna del meglio del suo repertorio. Ad aprire il combo genovese Slim Luke and che Blues Walkers.

18 luglio – Arenzano, largo Calasetta: Il palco del Blues si riaccende ad Arenznao con la quinta serata. Morblus Band . Roberto Morbioli con la sua band ci portano a conoscere il loro “Texas Blues” senza compromessi. Uno spettacolo imperdibile anche grazie alla presenza di una grande vocalist americana: Ms. Diane Blue, direttamente da Boston. Ad aprire la serata il soul degli The Hens’ Fear

25 luglio – Arenzano, largo Calasetta: nuovamente Arenzano, nuovamente grandi artisti. Questa volta è il turno di Rusty Wright Band direttamente dagli Usa l’artista di Flint, Michigan porta per la prima volta in liguria il suo spettacolo di Blues e Rock . Un vero Guitar Hero accompagnato da una band che sa seguirlo su qualunque terreno musicale. Ad aprire la serata ci penseranno i “Sestresi” White Brothers capitanati da Roberto Delucchi

29 luglio – Arenzano, area spettacoli: una serata imperdibile per tutto gli amanti del Blues più moderno: Matt Schofield Band. Considerato dalla critica il futuro del blues contemporaneo, il musicista inglese ha già saputo farsi conoscere in Italia per concerti che non hanno certamente lasciato deluso il pubblico più esigente. Considerato a pieno titolo l’erede di Robben Ford riesce a fondere le timbriche del blues con un atteggiamento “contemporaneo” che lo annovera tra i chitarristi più innovativi del genere.

1 Agosto – Varazze, piazza Bovani: Piero De Luca & Big Fat Mama. La band storica del Blues ligure fa tappa a Varazze con  il proprio spettacolo grazie alla voce storica del gruppo Piero de Luca ed un’ensable di veterani del genere che non mancheranno di trovare consensi tra il pubblico più attento. Ad aprire il concerto nuovamente Les Trois Tetons con le loro sonorità rock blues.

9- Agosto – Cogoleto, Ultima serata all’insegna del Blues con il grande James Thompson. Il cantante e sassofonista americano ha certamente un curriculum invidiabile e molti lo hanno potuto sentire negli album di “zucchero” Fornaciari, Paolo Conte e Andrea Mingardi, ma non  solo. Infatti essendo pure un esperto jazzista, ha suonato con nomi del calibro di Miles Davis, Billy Cobham e Frank Gambale. Un vero “fenomeno” del sax!

 

Per info: www.beiguablues.it

 

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http://www.liveus.it/articolo.php?id=22 Mon, 21 Jun 10 17:30:19 +0200 http://www.liveus.it/articolo.php?id=22
<![CDATA[ Aspettando Crevari Invade ]]>

E’ difficile descrivere cosa significhi un Festival a chi non ci sta "dentro". Certo non mi riferisco a quello che succede in quei due o tre giorni in cui tutto è tirato a lustro, la pubblicità impazza sui manifesti e le band suonano come un carillon svizzero. Questo è quello che tutti percepiscono (nel migliore dei casi) quando la manifestazione va a gonfie vele: il pubblico affluisce, si diverte, partecipa, gradisce la musica, si immedesima nello spirito dell’evento. Eppure per quei tre giorni di "delirio organizzato" ce ne sono almeno 100 di incontri, riunioni, appuntamenti mancati e tutto quello che la buona volontà può mettere in campo perché quei "tre giorni" siano veramente "I" tre giorni. Fin’ora questo potrebbe essere il racconto di un festival qualunque. Ce ne sono tanti nell’estate ligure che sta per arrivare. Alcuni sembrano corazzate inaffondabili appena attraccate in porto, altre  mini-Disney land per i buongustai di ogni tipo di musica, altre Woodstock tascabili per i nostalgici del "c’ero anch’io", altri l’ultimo desiderio della lampada di Aladino per i palati (o piuttosto i padiglioni auricolari) più raffinati. Tutte manifestazioni di altissimo lignaggio i cui cast spesso farebbero l’onore del più navigato promoter nazionale.
Beh, lasciatemi dire che il festival di cui vi sto parlando è qualcosa di differente. Non è che lo dica per spirito di parte ma perchè credo che ciò che c’è dietro sia qualcosa di stupendo.
Immaginatevi un Festival che dal 1992 (e siamo quasi al ventennale) trovi il gusto ancora più che i mezzi di riproporsi, oggi come allora, solo per il gusto di esserci. Con un entusiasmo che ha del contagioso, con una forza che sta trovando la sua terza generazione di sostenitori convinti e compiaciuti di fare qualcosa che sentono unico, almeno dal loro punto di vista. Forse ciò che aiuta è il fatto che Crevari, un borghetto di case appeso alla montagna, è qualcosa di particolare. Chi cresce da quelle parti ha forse ancora la fortuna di sentirsi parte di una comunità. Si cresce insieme, si studia insieme e nonostante che già da Voltri si guardi a quel mucchietto di case con tanta perplessità tipica della vita cittadina, ci si sente ancora uniti nel condividere una passione che si sente comune.
Sì lo ammetto sto scivolando un po’ nel retorico ma è la prima volta che mi trovo ad affrontare un qualcosa di simile. Considerate le esigue forze (il festival si autofinanzia completamente) e il risultato finale (un sacco di soldi messi in beneficenza tutti gli anni) c’è da domandarsi se non sia proprio questo il senso di una festa di tutti!
Crevari Invade anche quest’anno trova la forza e il coraggio di esserci. In prima fila, in mezzo a tanti altri Festival che potrebbero appannare il suo sforzo. Ci saranno le magliette (anche quest’anno imperdibili), le focaccette (uniche!), fiumi di birra e sangria e tanta tanta musica. E’ quasi tutto pronto! Manchi solo tu!

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http://www.liveus.it/articolo.php?id=19 Fri, 04 Jun 10 12:12:17 +0200 http://www.liveus.it/articolo.php?id=19
<![CDATA[ Bob Margolin @ Raindogs House ]]>

Bob Margolin: una chitarra per Muddy Waters

E’ormai difficile che mi faccia trascinare fuori di casa, soprattutto in settimana. La pigrizia, il lavoro, l’inverno: sono mille i motivi che ti vengono dati per rintanarti e rimandare a tempi migliori. Poi ti chiama un amico, un appassionato di musica che come te ha ormai qualche anni di troppo ma che, differentemente da te, tiene le orecchie ancora aperte e ti dice: “Ehi? C’è Bob Margolin al Raindogs; vieni?”. Chi è Bob Margolin? Se lo si va a cercare nelle charts di Last.fm o su Internet si trova un baffuto chitarrista, prossimo alla terza età che ricorda un figlio dei fiori ormai avanti negli anni, poi si scopre che è stato nella banda “bianca” di Muddy Waters negli anni ’70. Ma Muddy Waters... non era uno che suonava negli anni ’50?
Insomma le premesse per chi non conoscesse la storia del Blues sono che Bob Margolin è un nome come tanti che, più o meno a meritato titolo, possono dire di aver incontrato il Blues sulla propria strada. Eppure dopo aver ascoltato Margolin certe classificazioni non sono così scontate.

Raindogs (Sv) 11 Febbraio; ore 22.00, interno club . Il locale non è ancora pienissimo; alcune persone si domandano se si riempirà. E’ la prima volta che vengono al Raindogs e l’atmosfera di fermata dell’autobus non convince questi astanti venuti da Genova per lui: Bob Maroglin, appunto. Ma Marco Zibba il “boss” del piccolo club è tranquillo. lui sa che sarà una grande serata. Ha già ospitato Margolin nel 2008 ed è stato un trionfo!
Bob sta in un angolino dalla parte opposta del locale rispetto al palco Con la giacca di lana e i capelli corti e bianchissimi; sembra un professore universitario al pub sotto casa, Nulla fa trapelare il valore dell’artista che si sta per esibire. Arriva il momento dello spettacolo. Sale sul palco la band. Parte uno strumentale incalzante: Texas Blues style. Il chitarista ha imparato bene la lezione di Stevie Ray Vaughan e la mette subito in pratica. Basso e batteria seguono a ruota onesti e fankeggianti. Dopo il secondo brano arriva l’annuncio: “Signore e Signori: Bob Margolin!”. Bob sorride, sale sul palco ringrazia per l’applauso, prende in mano un Les Paul, lo bacia. Poi prende il bottleneck e... magia... arriva il Blues! Seguono due ore e mezza di quello di cui si sente parlare ma che solo ascoltando in prima persona si capisce veramente. Margolin non è un funambolo della chitarra; non cerca colpi di scena plateali; non è un virtuoso. Eppure arriva qualcosa che si auto-inietta sottopelle e lascia tutti euforici. Margolin non dimentica la lezione del suo maestro e lo cita continuamente con una filologicità spaventosa. Lui non suona Muddy Waters lui è, almeno per questa sera, Muddy Waters. La voce, cavernosa ma pronta a salire su su per agganciare fino all’ultima nota del acuto straziato, sembra quella del maestro, mentre la chitarra è proprio quella che si sente sui suoi dischi. Il gruppo, che nel novero delle band italiane farebbe la sua dignitosa figura, sparisce dietro al suono, ora leggerissimo, ora enorme, della chitarra di Margolin. Non c’è termine di paragone. Bob suona in dispregio a tutte le lezioni su come si suona il Blues sui manuali eppure suona come pochi sarebbero capaci. Dopo due ore ininterrotte si siede sul suo amplificatore Fender e il palco resta solo per lui. La band si allontana e lui si concede da solo per i bis: Can’t Be Satified sembra una preghiera laica al suo ispiratore. Il pubblico applaude, è entusiasta. Marglion ringrazia. E’ quasi commosso, confessa che non sempre il pubblico lo capisce, come è successo qualche sera prima a Milano. E lui per sdebitarsi richiama la band sul palco per un finale che ha ancora molto da regalare, Si improvvisano tutti i brani che vengono in testa Margolini sconfinando nel rock and roll e nel boogie. La band segue docile. Viene chiamato Zibba sul palco ma il godimento di lui, ascoltatore, è troppo grande e rimette l’invito. E’ ormai l’una di notte passata ed è tempo di chiudere. Il freddo pungente aspetta gli spettatori all’uscita ma certamente il cuore resta caldo. Qualcuno quella notte non ha dormito e non solo per le orecchie che fischiavano.

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http://www.liveus.it/articolo.php?id=3 Tue, 16 Feb 10 00:00:00 +0100 http://www.liveus.it/articolo.php?id=3